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RITO
CAVALLERESCO  
TRADIZIONALISTA ITALICO
ROMANO

 

La Massoneria Gentilizia praticata dall’O.I.C.L. ‒ e depurata nei suoi tre gradi simbolici essenziali (Apprendista, Compagno dell’Arte e Maestro M.) da ogni forma di sincretismo ‒, è propedeutica al Rito Cavalleresco Tradizionalista Italico-Romano (R.C.T.I.R.) dell’Ordine, a cui si accede solo dopo aver conseguito il 3° di Maestro M., frequentato l’Accademia Massonica Tradizionale e superato le relative prove.

Il Rito Cavalleresco Tradizionalista Italico-Romano rappresenta il naturale percorso di perfezionamento del nostro orientamento culturale e spirituale, al quale nessun adepto è comunque obbligato, ognuno essendo libero di stazionare, senza limite di tempo, in qualsiasi stadio precedente.

Il sentiero antidogmatico che perseguiamo intende riattivare, ricostruire e sviluppare in ogni membro dell’O.I.C.L. il culto familiare privato delle origini, per ripristinare – attraverso la pratica operativa quotidiana di un rito basico incruento – il rapporto con il divino, nel rispetto dei propri antenati. L’Ordine si prodiga nel fornire gli strumenti idonei alla ricerca – tramite quei testi latini antichi che, con i monumenti classici, costituiscono le fonti trasmesse dai Padri (da cui attingere formule, costumi, etc.) – e con l’esempio nell’esercizio delle virtù romane: pietas (rispetto per gli obblighi religiosi e familiari, senso del dovere e di giustizia verso il prossimo, tolleranza), fides (fedeltà, lealtà, onestà, affidabilità), virtus (qualità del Vir, valore, equilibrio, armonia dell’anima), gravitas (serietà, austerità, dignità, sincerità nell’azione, moderazione e rigore morale, senso di responsabilità e di impegno), fortitudo (capacità, coraggio), maiestas (superiore senso di appartenenza ad un popolo/società civile), constantia (perseveranza, fermezza, coerenza, tenacia, resistenza).

L’assiduo lavoro individuale (cadenzato da un Kalendarium proposto e mai imposto, capace di stabilire un “ritmo” e, quindi, un’armonia sinergica indispensabile in un rapporto religioso non devozionale), compiuto con consapevole experientia, facilita la comprensione della propria identità e della centralità della famiglia, rafforza nel singolo (pater familias) la capacità di trovare il giusto riguardo per le proprie origini, la propria terra, il proprio sangue (gens), favorendo ai figli la trasmissione cultuale e morale del nucleo sano degli antichi valori tradizionali degli antenati (Mos maiorum).

Si tratta chiaramente di un riferimento alla religiositas precristiana, spesso, con superficialità, definita etnica, politeista o pagana (meglio identificabile come Via agli Dèi), che noi crediamo, limitatamente a un centro iniziatico romano, abbia ininterrottamente saputo mantenere la propria continuità di trasmissione – spesso sottotraccia, in via segreta e per forme anche assai diverse – dalla fine dell’Impero ai giorni nostri, grazie all’opera di gruppi tradizionali esoterici elitàri. Esempi più recenti si hanno ancora nel secolo scorso, anche attraverso i contributi di Arturo Reghini e Julius Evola.

I membri che accedono al R.C.T.I.R. si ritengono parte integrante di una Società di Uomini. Nel rispetto di se stessi e delle proprie radici storiche operano per il miglioramento dell’Ordine e – nella consapevolezza di essere elementi attivi del terzo millennio, caratterizzato da una profonda crisi causata da una “universalizzazione” forzata – contribuiscono alla comunità apportando la propria sapienza, difendendo e trasmettendo i propri valori trascendenti, testimoniando un’etica tradizionale.

Ogni casa mantiene il proprio fuoco domestico, mentre quello della comunità è custodito dal Sacrum Collegium Sorores Hestiae (composto dalle Dame dell’Ordine, a cui sono demandate alte responsabilità), che lo alimenta in forma pura con legna di arbores felices, si preoccupa della preparazione del mulsum e delle varie focacce o cibi rituali, necessari al perfetto svolgimento del culto della fratria/curia. Per la “lingua del rito” in comune è stato adottato un regime linguistico “misto”, che comprende obbligatoriamente il latino (lingua sacra di Roma) e, per praticità, l’italiano. Alcune formule del culto sono – a seconda dei casi e delle necessità – declamate in latino “arcaico”, più spesso in latino “classico” e, talvolta, in latino “medievale”.

Pur con l’intento di recuperare la nostra dimensione verticale, il senso del sacro e del mistero rispetto a tutto ciò che ci circonda, in noi permane la massima disposizione alla tolerantia, coscienti come siamo dell’esistenza di numerosi sentieri per un’unica Vetta.

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