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TARQUINIO PRISCO, LA TRIADE DEL CAMPIDOGLIO E I RITI DI SAMOTRACIA

di ROSANNA PERUZZO DEL PONTE.

Estratto da “Arthos”. 
N° 22 del 2013.
Edizioni Arŷa, Genova. 

Difficilmente il culto della triade capitolina ha origine nel mondo etrusco, ma, sorprendentemente, ci riporta a Samotracia.
 

È Macrobio a svelarlo nei suoi Saturnalia, III, 4, 8.
 

L’autore ricorda come Varrone nelle Antiquitates rerum humanarum, II, asserisce che Tarquinio Prisco, figlio del nobile Demarato, ricchissimo mercante stabilitosi in Etruria da Corinto sua patria, fu iniziato ai misteri di Samotracia e riunì le predette divinità: Cybele, Ade-Dioniso, Core, in un unico tempio e sotto lo stesso tetto.
 

Si accenna — è chiaro — al tempio, voluto da Tarquinio sul Campidoglio, consacrato a Giove Ottimo Massimo. Terminato nell’anno primo della Repubblica e dedicato dal console Marco Orazio Pulvillo alle Idi di Settembre (data che vedremo riferirsi ad un particolare rito che vi si celebrava) nell’anno CCXLIV ab Vrbe condita, dopo una guerra vittoriosa contro gli Etruschi di Veio. Chiara la sostituzione effettuata dei nomi divini: Giunone (Cybele), Giove (Ade-Dioniso), Minerva ( Core).
 

Macrobio dice di più: Varrone nello stesso libro riferisce che Dardano portò gli dei Penati da Samotracia in Frigia ed Enea dalla Frigia in Italia.
 

Alcuni studiosi moderni (Anita Seppilli) accettano la tradizione: dunque Dardano, iniziato ai Misteri di Samotracia, li portò a Troia, suo figlio Idaos sul monte Ida (da qui il culto di Cybele o Madre Idea), Enea nel Lazio (culto del Palladio e di Minerva) Kadmo, a sua volta, anch’egli iniziato a Samotracia, ne portò il rito a Tebe (Beozia). Esso diviene di Kabira o Dea Indicibile.
 

Partendo da tali dichiarazioni, tutte le divinità elencate sarebbero una sorta di ipostasi della Dea di Samotracia, per Apollonio Rodio e Diodoro Siculo da ritenersi la luna stessa: grande Meter, cioè Grande Misuratrice.
 

Si può aggiungere anche Filippo il Macedone; ugualmente fu iniziato nell’isola, dove conobbe la sua futura sposa Olimpias: dalla loro unione nacque Alessandro il Grande.
 

Fonti da tener presenti quando ci troveremo di fronte alle affermazioni, che, di per se stesse, altrimenti, potrebbero apparire bizzarre, di un certo Q. N. Aucler (1799), in periodo rivoluzionario (10 Novembre 1799 — colpo di stato del 19 brumaio ‑Sieyès, Buonaparte e Roger-Ducos assumono pieni poteri e preparano una nuova costituzione).
 

Possibile che il culto di Roma e forse la misteriosa divinità che presiede alla fondazione della città stessa abbiano a che vedere con il Palladio di Troia? Così afferma Aucler.
 

Esiste, è vero, un particolare legame tra Marte e Minerva: Maio mense religio est nubere, et item Martio, in quo de nuptiis habito certamine a Minerva Mars victus est, et obtenta virginitate Minerva Neriene est appellata. Qui entra in campo Anna Perenna che si congiunge a Marte, beffandolo, in quanto prende il posto della vergine Minerva. Festa delle Idi di Marzo.
 

Resta il fatto che Nerio o Neriene è indicata come paredra di Marte, prima della Dea Bellona, che la soppianta. 
 

E, come abbiamo visto, c’è chi identifica Neriene con Minerva stessa (Minerva Neriene est appellata). La radice nar- ha il corrispettivo greco di ̓α‑νήθ (“uomo”) ed è un termine indoeuropeo che Roma abbandona sostituendolo con vir o viro (si veda in merito G. Dumèzil). Nerio o Nero indica infatti una donna forte e determinata, sostanzialmente virago (vir). Tale è certamente Atena — Minerva. Si veda Eschilo, Eumenidi (v. 663): Atena è figlia senza madre, predilige con tutto l’animo ciò che è maschile ed è χάθτα (“del tutto”, “interamente”) del Padre suo (v. 738).Tornando a Dumézil, egli distingue l’uso dei due termini, con fondamentale differenza nei documenti indoiranici, in cui la stirpe guerriera è chiamata nar (come nel ciclo eroico dei Narti, presso gli Osseti), mai vira.
 

Vira indica il corpo umano oppure è usato per uomini del terzo livello. In Roma, secondo l’autore, si assiste ad un declassamento delle antiche parole indoeuropee indicanti la funzione guerriera, mentre si conservano esattamente, con gli stessi usi del vedico e dell’avestico, tante parole della funzione magica e politico – religiosa.
 

Nero a Roma rimase quale soprannome della gens Claudia, quasi essa sola avesse il privilegio di poter ricorrere a tale termine, per altro completamente sparito dall’uso linguistico.
 

Per quanto concerne la triade del Campidoglio da cui è partita la dissertazione, essa è senza dubbio estranea alla cultura latino — arcaica con il suo prevalere dell’elemento femminile; ben rispecchia invece l’equilibrio dato a Samotracia: due dee e un solo dio.
 

La precedente triade divina, più coerentemente allo spirito patriarcale di tutta la religione romana, si riferisce infatti ad una triade del tutto virile (Giove, Marte, Quirino) e non diversamente avvenne per le popolazioni italiche. Ad esempio, gli Hernici di Alatri, sulla porta delle cui mura troviamo una triade, rappresentata da tre falli, in una collocazione che ricorda una Tau (due orizzontali in alto, uno dominante verticale), interpretata da M. Pincherle come aniconica immagine di un Dio Padre (T = theos) e due suoi curoi .
 

Varrone stesso, ricordando l’ostilità incontrata dal Re Tarquinio Prisco da parte degli auguri e degli esponenti della religiosità tradizionale, testimonia la profonda estraneità di tale culto al mondo romano.
 

Ancora a Samotracia, oltre che ad Eleusi, si recavano le matrone romane, affrontando un lungo viaggio, in genere in compagnia di schiave. Attestazione indiscutibile di quanto, anche nella classicità, fosse ancora viva la memoria dell’antichissimo culto.

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