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SEGRETI DEL MONDO DI SOTTO

di GIOVANNI FEO.

Estratto da “Arthos". 

N° 27 del 2018.
Edizioni Arŷa, Genova. 


I popoli che vissero sulle rive del più esteso lago vulcanico d’Europa, il lago di Bolsena, scoprirono la speciale ambivalenza di questo singolare habitat lacustre. Da una parte il lago fu presentito quale sede di divinità benefiche, apportatrici di benessere, fecondità, evocandosi l’archetipo della Bona Dea, la benevola Dea Fortuna, reggitrice del corno dell’abbondanza, poi divenuta l’etrusca Voltumna; le acque vivificatrici e salutari il suo elemento primigenio, la sirena a due code a sua tradizionale icona simbolica.

Ma da tutt’altra prospettiva, il lago venne anche percepito nel suo aspetto vulcanico, sismico, terrificante e distruttivo. Di questo aspetto fu patrono, in età etrusca, il tellurico Dio Velch, dai Romani chiamato Vulcanus, Dio del turbolento sottosuolo infero. Da Plinio gli fu attribuita la nomea di Monstrum, seminatore di inspiegabili sommovimenti, Dio che bruciava e spandeva paura e morte nel territorio di Volsinii, l’odierna Bolsena. Per sconfiggere il Monstrum venne chiesto l’intervento di un prestigioso “Re” etrusco, Larth Porsenna, di Chiusi, esperto nella prodigiosa arte di manipolare le folgori. Un “fulgoratore”.

Grazie a Porsenna, tramanda Plinio, il Monstrum venne debellato. Decriptando la leggenda, che già Plinio non comprendeva più, poiché alla sua epoca erano già passati almeno cinque secoli da quegli eventi, possiamo affermare come effettivamente Porsenna sconfisse il “mostro”, poiché oggi sappiamo che il Monstrum fu la trasposizione mitica dei fenomeni sismici e tellurici verificatisi nell’area di Bolsena.

Il re etrusco riattualizzò un antichissimo rituale di protezione, già messo in opera nell’età del rame dal popolo di Rinaldone, antico predecessore degli Etruschi.

I Rinaldoniani eressero quattro ciclopici tumuli sulle rive del lago, lì dove il Dio del sottosuolo si manifestava; ovvero sopra quattro sorgenti di acque calde e termali. Similmente operarono gli Etruschi forse mille o più anni dopo. Ma invece di erigere tumuli, essi eressero dei rifiniti templi architettonici sui versanti del cratere di Bolsena, sempre sopra siti dove i vapori di acque calde sotterranee risalivano in superficie, reputando quel fenomeno la ierofania del Dio tellurico. Come si può constatare l’operato dei rinaldoniani, attuato su siti termali, fu poi ripreso dagli Etruschi in modo sostanzialmente identico.

Ambedue crearono, in età differenti, una sorta di “incantesimi” protettivi contro gli spaventosi fenomeni sismici che, ciclicamente, si verificavano nell’area della Bolsena. Uno di questi tremendi cataclismi, verso il decimo secolo a.C., produsse l’innalzamento delle acque del lago di circa otto-dieci metri. Questo è il motivo per cui oggi i quattro tumuli, chiamati localmente “Aiole”, si trovano sott’acqua, a cinque metri di profondità.

Gli antichi popoli spiegavano l’origine dei fenomeni sismici e tellurici attribuendone la paternità agli déi inferi. Il Dio Velch per gli Etruschi, deteneva questo ruolo. Il suo nome è stato rinvenuto nell’iscrizione del tempio sul monte Landro. Ma è anche all’origine del nome della città di Vulci, territorio della Maremma costiera il cui sottosuolo è un enorme contenitore di acque calde e termali.

I templi del monte Landro e di Turona sono due santuari, edificati all’epoca di Porsenna (VI sec. a.C.) per placare il Dio del Vulcano Volsinio.

Il tema si ripropose all’epoca della cristianizzazione, tra il quarto e quinto secolo d.C., quando ai paesi situati nell’area del lago vennero assegnati, quali patroni e protettori, dei santi “sauroctoni”, ovvero uccisori di draghi: S. Giorgio, S. Margherita, S. Michele, S. Marta, e S. Cristina che aveva il potere di comandare i rettili, come ha tramandato l’agiografia.

Il drago o rettile in questione corrispondeva naturalmente a quel culto tellurico e infero di Velch e divinità analoghe che, per lunghe ere, si era radicato localmente, divenendo tenace tradizione dei paesi lacustri.

I santi sauroctoni possiamo considerarli come il terzo “incantesimo” di protezione, dopo quelli di età rinaldoniana, le “aiole” e l’etrusco, i templi del sesto secolo.

La parola “incantesimo” esprime compiutamente gli effetti ricercati dalla tradizionale e antica arte magica precristiana, intendendosi l’arte di incantare, ammansire e rendere sottomesso al proprio volere, in questo caso un territorio dominato da forze pericolose e distruttive del sottosuolo sismico.

Il quarto “incantesimo” del lago di Bolsena è il più complesso e contornato di enigmatici elementi. Risale all’età rinascimentale, quando uno dei maggiori architetti dell’epoca, Antonio da Sangallo il Giovane, realizzò un progetto di perfezionata arte talismanica, dottrina sulla quale era più che informato essendo frequentatore dell’Accademia Neoplatonica dei Medici, in Firenze. Scuola che fu l’epicentro della diffusione della tradizione ermetica nell’Europa rinascimentale.

All’interno del grande cratere di Bolsena, Sangallo fece costruire degli edifici a pianta ottagonale, allineati lungo l’asse nord-sud che attraversa il lago, da una riva all’altra, per una lunghezza di tredici chilometri. Gli edifici sono: la chiesa di S. Giovanni in Val di Lago, l’oratorio di monte Oliveto, sulla punta nord dell’isola Bisentina, la Rocchina o Tempio di S. Caterina, sulla punta sud dell’isola bisentina e la fortezza ottagonale di Capodimonte. Una quinta struttura ottagonale, sempre allineata sulla medesima retta nord-sud, venne infine realizzata nel XVIII secolo, la piazza ottagonale di S. Lorenzo Nuovo, nel punto dove la via Francigena entra nel cratere Volsinio.

L’apparente eccentricità dell’allineamento dei cinque ottagoni trova motivazione nell’arte, o magia, “talismanica”, divulgata in età rinascimentale da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Il Sangallo la mise in pratica, al fine di realizzare un potente incantesimo protettivo, incentrato sul Monte Tabor, “ombelico” del lago di Bolsena. Il Sangallo dunque proseguì la serie di incantesimi effettuati nelle precedenti età, rinaldoniana, etrusca e protocristiana.

La magia talismanica consisteva essenzialmente nell’attirare il potere degli astri — sole, luna, pianeti, costellazioni — e convogliarlo in un oggetto, una persona o anche un luogo. Nel caso in questione, l’allineamento di ottagoni mirava ad attrarre nell’area sismica di Bolsena il potere astrale e pacificatore del pianeta Venere.

L’ottagono nella geometria sacra è il “portale” per eccellenza. Ottagonali sono i tradizionali fonti battesimali, proprio perché “porte” dove deve discendere lo Spirito Santo, l’energia divina ovvero la colomba, il volatile anticamente consacrato ad Afrodite-Venere.

L’ottagono è la figura geometrica intermedia tra il quadrato, figura imperfetta, e il cerchio, simbolo di perfezione.

I quattro incantesimi di protezione detengono una speciale importanza, perché sono il tangibile segno di come un grave tema ambientale, la sismicità, venne affrontato lungo un incredibile arco temporale, quattro o cinque millenni da popoli e civiltà differenti. Dai Rinaldoniani dell’età del rame (quarto millennio a.C.) fino a “mastri” costruttori del Rinascimento. Non è giunto forse oggi il momento di impegnarsi per operare un quinto “incantesimo”, salvando lo specchio lacustre da un avanzato stato di inquinamento colibatterico e da un degrado ambientale e culturale sempre più invasivo?

In ogni caso, vulcanismo e sismicità sono problemi centrali nella tematica ambientale e geopolitica della penisola italiana.

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